Biagio Coppa è un sassofonista compositore e arrangiatore jazz che può vantare numerosissime e prestigiose collaborazioni anche internazionali.
Oggi parleremo ampiamente del suo ultimo lavoro pubblicato nel 2020: Slam Dunk Project.
La formazione è un trio:
Biagio Coppa: sassofoni soprano e tenore
Marco Rottoli: contrabbasso
Matteo Rebulla: batteria
Abbiamo allegato alla recensione due brani e un video.
Ho ascoltato il disco ben 14 volte, … sì le ho contate!
Ma era l’unico modo per prestare la giusta attenzione ad un lavoro così particolare. Non sopporto le recensioni scritte “tanto per …”, pregne di avverbi ed aggettivi utilizzati a pioggia solo per allungare il brodo. Ovviamente pretenderei un invito a pranzo da Biagio Coppa! 😛
Ok, finiamola di scherzare!
Si parte.
1. Modal Model
Intro di batteria a mimare una marcia. Tema di sax supportato dal contrabbasso in omoritmia. È un tema molto lineare che sfocia in obbligati molto contorti e netti, a cui “partecipano” tutti i musicisti. L’ambientazione ricorda gli “strappi” shorteriani ma con audaci dissonanze. Arriva l’assolo di sax, concitato e apparentemente non contestuale, sembra ignorare il timing del brano. Bello il timbro, chiaro, favorito da un fraseggio sicuro e non scevro da tecnicismi. L’assolo è di stampo free, favorito anche dalla mancanza di armonia. Si riprende con i temi e si va a finire con una situazione che ricorda l’arresto di un treno, con il suono della ferraglia. Ottimo inizio.
CONICA
2. Conica
Inizia il contrabbasso suonato con l’arco e “sovrapposto” con la mano sinistra che percuote letteralmente la corda sulla tastiera, sembrano in due. L’atmosfera è mistica! Parte un walking senza vibrato, sempre suonato con l’arco, per usare un gergo tasti eristico “fix velocity”. Contrappunto melodioso del sax che sforna acuti sforzati alla Ornette, suoni risonanti misti ad armonici pieni di raucedine espressiva e con intonazione variabile (quarti di tono), ottenuti probabilmente in modalità false fingering, growling e multiphonics. A tratti sembrano degli esercizi arpeggiati. Parte l’assolo di sax, molto vago, si accavallano pensieri e situazioni. È una sorta di monologo interlocutorio, curioso. Si cresce tutti insieme, specialmente la batteria, con il fragore dei piatti. Tornano i contrappunti tra sax e contrabbasso. Poi un assolo di batteria e si va a finire. Brano particolarissimo!
3. Tatty Piece
Brano che “corre e saltella” con una melodia quasi totalmente omoritmica molto percussiva e sincopata che “ribadisce” la tonica, condita dalla batteria con giochi di rimshot. Arriva un bridge che precede l’assolo di sax che in cortissimi frangenti parafrasa la melodia iniziale. Poi inizia a girovagare, si ferma, riparte. Ma quello che ho notato è che non si allontana più di tanto dalla tonalità, che rimane impressa e continui a “cantartela” nella mente, anche quando il fraseggio si fa più serrato. E tutto ciò è in controtendenza al “percepito” da un orecchio non allenato ad ascolti così impegnativi. Insomma … non si è portati ad “arrendersi”. Altro bridge tra i tre musicisti e arriva il momento del contrabbasso. Stile particolare di Marco Rottoli completamente a suo agio in questo contesto. In certi passaggi sfiora l’arabeggiante accennando brevi porzioni di scala armonica. Tornano i temi e si finisce con un break molto netto.
SLAM DUNK
4. Slam Dunk
Title track. Inizio con il dire che in questo brano sento tantissimo l’influenza di Shorter, in particolare quella dell’era post Weather Report (Atlantis e Phantom Navigator per intenderci). Ovviamente la mia è solo una personalissima sensazione e non intende assolutamente sminuire (anzi!) il personalissimo linguaggio che i musicisti propongono. Ma la tecnica compositiva e conseguentemente quella dell’arrangiamento sono a mio parere riconducibili a quel tipo di matrice. Tanti obbligati, omoritmia, e ritmiche molto colorite e serrate. Andatevi ad ascoltare, ad esempio, Criancas (Atlantis) e troverete break e impasti sonori (non timbrici!) molto simili. E comunque in questo brano mi piace tantissimo l’intermittenza determinata dall’entrare e uscire della batteria. La sezione ritmica è molto affiatata e riesce a sostenere il sax in modo eccellente, specialmente nei momenti in cui se ne va a zonzo alternando intervalli lontanissimi ad una sequenzialità di fraseggio molto variegata anche ritmicamente. Bella l’atmosfera dedicata all’assolo di sax, tira dietro, va controvento (Rottoli e Rebulla … bravi!) e il sax corre esibendo passaggi misti e liberi. Poi arriva un breve assolo di batteria ed il finale è servito. Bello!
5. The Brat
Tutto libero l’intro, pura improvvisazione. Mi piace il fraseggio, è un monologo. Arriva il tema ed entrano gli altri, secchi a rimarcare. Poi il contrabbasso rimane da solo ed è subito affiancato dalla ritmica ottenuta dal ticchettio dei cuscinetti del sax, che mima delle percussioni. Attimi di funk e parte l’assolo del sax. Qui mi piace moltissimo la batteria di Matteo Rebulla, che fraseggia ordinatamente supportando il sax. Cresce l’ensemble, poi si placa tutto. Tornano i temi e si va a finire con un obbligato molto sincopato. Interplay ad altissimi livelli.
6. ABC
Torna il soprano che inizia un dialogo solitario, sembra interrogarsi. Poi, quando arriva la ritmica si sfrutta il contrappunto. Sax e contrabbasso dialogano tra loro. Effetto globale introspettivo. Questo brano è pensante, disegna geometrie stondate. Ma è verso la fine che diventa irresistibile, quelle note rauche di sax, specialmente quella che rimarca la terza minore, sontuosa, superiore! E poi la batteria con la cordiera del rullante scostata che gonfia insieme al contrabbasso suonato con l’arco. Direi travolgente. Bello l’obbligato del finale di sax e contrabbasso … suonano nell’ordine quarta, quinta aumentata, quinta giusta e appoggiano sulla terza maggiore per poi concludere il brano sulla tonica.
7. Holy Crap
Inizia la batteria, giocando. Poi arriva il tempo connotato da una cassa piena di alone. Ecco l’obbligato dei temi eseguito tutti insieme con il rullante che accenta. Poi riparte la batteria come per l’inizio. Dialoga con il sax tenore, parlano tra loro. Si intromette il contrabbasso e si inizia una sorta di swing con accenti tipici della musica afro cubana (per intenderci) sul quale il sax divaga con ostinati e riff persino orecchiabili. Poi obbligati e si finisce insieme.
8. Prank
Ultimo brano del disco. Inizia il sax mononota, ricorda vagamente il ticchettio di un telegrafo. È ripetitivo e anticipa la sezione ritmica. Poi si scambiano i ruoli e il sax ricama. Arriva una sorta di assolo del contrabbasso, molto discreto, dimesso. In questo brano scorgo nettamente qualche eco di ornettiana memoria. Biagio Coppa fa sfoggio di una notevole tecnica, belle le frasi discendenti che giocano con gli intervalli. Il finale è incentrato sul contrappunto tra sax e contrabbasso. Poi torna quella figurazione ritmica dell’inizio e si conclude.
Ora dobbiamo tirare le somme da questa descrizione dei brani.
Che dire?! Il lavoro è decisamente ottimo.
Ma voglio andare oltre alcuni concetti apparentemente scontati. Sarebbe facile asserire che si respira piena libertà espressiva, fuori dai soliti contesti improvvisativi, e che si ignora il concetto di tonalità prediligendo la dodecafonia più estrema traslata in forme contemporanee ecc ecc … insomma avete capito a cosa mi riferisco … Potrei insomma cavarmela con la solita “supercazzola” (perdonatemi l’espressione) che fa tanto “recensione colta”. Ma io sono un musicista e noto alcune cose che devo evidenziare.
Vi posso quindi invece dire che, nonostante si percepisca effettivamente tanta libertà esecutiva sfociante in un linguaggio espressivo molto personale, … qui c’è tanta “regola”, osservata in un modo quasi libero ma c’è! Prendiamo a riferimento il brano Tatty Piece: lì si respira libertà incastonata nel concetto di tonalità che ricorre (frasi che terminano con la tonica). E questa “regola”, si scorge, in tutti i brani, anche nella scelta delle ritmiche, sempre contestuali e a completo supporto di quella “pseudo irregolarità” degli assolo che vi girano sopra. Sono infatti molti gli episodi di omoritmia o addirittura di unisono tra sax e contrabbasso utilizzati per esporre i temi. Consideriamo anche che siamo in contesto di trio, tipicamente acustico, senza il supporto di uno strumento tipicamente armonico che forse avrebbe “standardizzato” l’ensemble, rendendo il tutto meno originale.
Insomma è come nel freejazz dove, secondo me, solo apparentemente si suona sempre e comunque istintivamente. Ho sempre sostenuto che questo tipo di jazz sia da considerare un ossimoro vero e proprio. Ma tutto ciò è fortemente positivo perché sta a certificare uno sforzo musicale maggiore, forse addirittura più maturo. E mi riferisco a quella consapevolezza di suonare quel tipo di frasi, quei riff ritmici “assegnati”, quel voler creare un certo colore musicale.
Per il resto posso affermare che si sentono le tante influenze archetipali che ogni musicista porta dentro, ma il fatto positivo è che sono miscelate tra loro a garantire un linguaggio ampio, con tanti vocaboli musicali a disposizione di tutti (interplay).
Bravi tutti i musicisti, mai troppo energici anche in frangenti pieni di fragore. Notevole l’interplay, soprattutto a garantire l’unicità delle esecuzioni.
Anche dal punto di vista della produzione possiamo dire che i suoni sono equilibrati e sempre naturali. Mi è piaciuta l’ambienza globale, con quel sottile alone tipico dei luoghi “riflettenti”.
Per concludere … il disco mi è piaciuto molto ma … per un ascolto coscienzioso finalizzato a valorizzare questa musica vi consiglio di spegnere il cellulare e mettervi comodi!
Il lavoro in questione merita attenzione.
Buon ascolto!
marco campea – siAMO musica – ICOnA