Vittorio De Angelis è un bravo sassofonista/flautista partenopeo e il suo profilo artistico lo potete leggere direttamente all’interno della pagina che noi di ICOnA gli abbiamo riservato.
Ma parliamo dell’originalità del progetto.
Quando ho letto “double trio” ho pensato a due distinte formazioni che si avvicendassero nel suonare i vari brani del disco. In realtà siamo di fronte ad una formazione che prevede due fiati (sax e tromba), due tastieristi e due batteristi. Manca un bassista, ovvero è presente solo in tre brani.
Oltre al sax di De Angelis ci sono Francesco Fratini e Takuya Kuroda (entrambi alla tromba), Domenico Sanna(tastiere e synth bass), Seby Burgio (piano acustico, tastiere e rhodes bass), Massimo De Cristofaro (drums1), Roberto Giaquinto e Federico Scettri (che si alternano – drums 2), Aldo Capasso (basso).
Ho ascoltato il cd svariate volte e in modo molto attento, per poter entrare meglio nel merito del lavoro.
Diamo inizio all’analisi dei brani.
ROY'S MOOD
1. Black rain (Pioggia nera)
Ritmica swing latin con piano che accompagna in modo ricco, supportato da una ritmica incalzante ma molto composta. Poi subito i fiati che espongono il tema all’unisono. Su questo tema scorgo un fugacissimo “ammiccamento” ad un brano dei Brecker Bros in occasione del loro ritorno discografico, parlo di “Big Idea” (Vittorio ti vedo che sorridi!). Anche subito a ridosso del tema, in occasione dell’obbligato melodico bridge, ti arriva la tradizione culturale che non si può ignorare e cioè l’armonizzazione tra sax e tromba che prevede fini giochi dinamici nell’esposizione con il risultato di far risaltare o nascondere, a turno, gli strumenti. Ma ditemi quale sassofonista può resistere al fascino di quell’impasto omoritmico! Quindi bravi! Andiamo ad esaminare i soli. Inizia il sax dell’autore. Il suono è molto presente, convinto, è una bella voce! Ogni tanto il fraseggio divaga uscendo momentaneamente dal contesto tonale, va via per tornare mostrando spiccata padronanza dello stesso. Belli i quarti di tono trillati, ottenuti con l’uso di posizioni “alternative”. Arriva il solo di piano. Il suono è vellutato, bellissimo! Magari mi sbaglio ma mi sembra proprio un C7. Ma mi sa che non mi sbaglio! Il fraseggio è molto pulito ed è netto l’utilizzo, come bilancere, della mano sinistra a sostegno ritmico. Mi immagino quel mignolo sulle basse che spinge e aiuta anche ad equilibrare un gioco di frequenze audio che ogni brano deve sempre avere. Il pianista sa gestire la giusta e matura tensione di un assolo in stile. Bravo Burgio! Ed ecco la tromba, Randy dove sei? A parte gli scherzi mi piace come viene dosato l’effetto sullo strumento perché si mantiene l’equilibrio non stravolgendo il timbro originario. Fraseggio fluido ed efficace. Avrei solo alzato un po’ il volume in fase di mix, ma forse ciò è determinato dall’aumento di spazializzazione in fase di mastering. In tutto questo “descrivere” non posso fare a meno di notare la sezione ritmica sempre perfetta e composta, direi affiatatissimi basso e batteria! Finiti gli assolo tornano i temi e si conclude. Buon inizio dunque!
2. Roy’s mood (Il mood di Roy)
Ballad in perfetto stile fusion (puristi dove siete?!). Manca solo la “gallinella” di Jay Graydon e sarebbe da prendere a riferimento. Il brano omaggia un grande della tromba, ahimé recentemente e prematuramente scomparso (Roy Hargrove). Il tema è esposto da sax, tromba e flauto. L’ambientazione è perfetta, tipica. La struttura del brano è semplice. Rhodes come nella migliore tradizione e un sapiente basso che si muove in modo molto disinvolto con un “suono nascosto che lo trovi subito” … essenziale! E arrivano i soli, quello del sax contrappuntato dal rhodes che alterna il pad alla risposta pizzicata. Sarà che ci sono cresciuto con questo tipo di fusion ma … insomma mi piace! La tromba (Takuja Kuroda) ha carattere intimo, rauca e spigolosa quando serve, ricorda il fraseggio di Tom Browne ai tempi di Blue sugar (e ci siamo capiti!). Anche il solo di piano elettrico (credo sia Sanna) risulta molto gradevole anche mentre dialoga con mestiere con la sezione fiati che accenna un supporto melodico. Tornano i temi e si va a casa.
3. Step out (Esci)
Questo brano non ha il basso elettrico che viene “surrogato” dal rhoBass, molto pizzicato e con tempi di release e sustain praticamente azzerati. Secco e gommoso, direi molto indovinato. Melodia sincopata aiutata dalla batteria di Giaquinto che sostiene il groove. Poi apre per arrivare al bridge. E partono i soli. Prima il pianoforte con un fare molto stentato e frammentato, nervoso fino a quando l’ambientazione si fa più swing e lì diventa più mansueto e regolare. Arriva il sax che asseconda in parafrasi il tema iniziale. Poi fraseggia in “combutta” con la batteria. Solo di simil hammond con leslie/detune a palla, probabilmente ottenuto dal rhodes con effetti applicati. Ma il bello di questo solo è che serve a far risaltare il rhoBass che esce fuori protagonista, ma noi già lo sapevamo che stava lì a reggere la baracca. Di nuovo i temi per finire.
4. Afrorism (Afrorism)
Brano in 6/8 stile “All blues” e la linea di basso non esita a ricordarcelo. Mi piace lo snare che accenta gli ultimi due movimenti di ciascuna “pulsazione ternaria”. Ha anche una risonanza accordata sulla terza molto piacevole! Melodia metropolitana tipica dei telefilm polizieschi americani: chi si ricorda Tom Scott ai tempi di Starsky & Hutch? Via con il solo di tromba, ritmico ad evidenziare i giochi di rimshot della batteria. Poi il fraseggio diventa più fluido e tipico; arriva il sax tenore, molto fermo, potente e mi piace quando gioca con gli intervalli. Poi tornano i temi armonizzati tra sax e tromba. Piccolo obbligato e si lancia il finale in atmosfera da live concert con fill di piatti e sfumata finale con lo snare che “frulla.
5. Strike (Strike)
Ma quanto è bello il Wurlie, con quella gamma media “stonata” così caratteristica?!
E qui viene suonato alla Joe Sample, a ottavi ribattuti. Ritmico e senza aloni, con un leggero effetto di modulazione. Insomma è lui! Arrivano i temi e il bridge che porta all’assolo di tromba. Si asciuga tutto … merito dell’arrangiamento che fa sì che cassa e basso (RhoBass) condividano l’ultimo sedicesimo del movimento per cadere inesorabili sul battere successivo. Questi sono alcuni dei principi ritmici cardine della fusion di razza, quella americana degli anni 70/80, ingiustamente disprezzata ma che tanto ha sostentato i musicisti di jazz. Questo brano mi piace per il suono asciutto e caldo che i musicisti hanno saputo creare, che poi è il suono ricorrente dell’intero disco, ma qui esce più marcato. Non ci sono ambienze lunghe, tutto è misurato. Bello quando rimane il Wurlie da solo, appare “affaticato” … è il groove che tira dietro! Temi e il brano finisce con i fiati da soli.
6. Second (Secondo)
Bello l’inizio con un tema sincopato e accenti latini. Poi arriva un obbligato crescente con anticipi sull’ultimo sedicesimo e che termina con un bell’accordone d’atmosfera condito con un fraseggio, seppur nascosto, esatonale. Solo di sax e tromba “a guardarsi in faccia” e rispondersi ciclicamente. Questa cosa mi piace perché esce dalla metodicità degli assolo in sequenza. Ma ecco il nostro C7, bello riflessivo e con uno stile definito che vede la mano sinistra che pizzica gli accordi. Torna l’obbligato di prima e poi i temi e di nuovo l’obbligato.
7. Well (Bene)
Ultimo brano con atmosfera un po’ diversa dagli altri brani. E ciò è dovuto al piano elettrico che viene reso sordo, quasi un pad … Avete presente il brano “Glamour” degli Steely Dan (Gaucho)? Beh il suono è molto simile e anche l’atmosfera lo ricorda, al netto dei contesti un tantino diversi! La base armonica è molto delicata e il sax ci si muove bene, è tranquillo. C’è un solo di synth con un lead suonato molto nervoso. Poi ritorna il piano di prima con un pad alternato sotto e credo che … il mio citare gli Steely Dan non sia casuale. Brano arrangiato bene.
Fusion educata e raffinata. Il disco scorre via tranquillamente e risulta piacevole … per tutti!
Mi piace il calore del suono globale, e mi riferisco anche all’equalizzazione resa in fase di mix e mastering, mai eccessiva e stridente. Si è voluta ricreare l’ambientazione tipica per sviluppare quel tipo di idee. Non c’è ridondanza nei vari brani. Avrei personalmente evitato una certa ciclicità nei soli, specialmente riguardo ai fiati. Ma è un dettaglio marginale e soprattutto personale.
Mi piace l’impasto delle ritmiche, mai estenuanti e forzate, ma equilibrate e nette. Fanno pienamente il loro dovere e supportano le strutture con efficacia.
Particolare menzione inerente al piano acustico, suonato magistralmente in modo secco e asciutto con pochissimo uso del sustain.
Vittorio De Angelis è stato bravo anche nella scelta della squadra, c’è affiatamento e complementarità. Le stilistiche di ciascun musicista sono espresse pienamente ma rimangono sempre ancorate ad un contesto dato. Sono bravi musicisti e sanno interpretare i ruoli assegnati in fase di arrangiamento. E in un contesto “double trio” non è assolutamente facile ottenere simili risultati.
Nella recensione ho inserito uno dei brani, “Roy’s Mood” in modo da rendere meglio l’idea di cosa vi ho raccontato. Insomma direi che dalle nostre parti c’è tanta buona musica.
Basta cercarla … e in questo disco la troverete!
Buon ascolto
marco campea – siAMO musica – ICOnA