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“Hide, show yourself!” di Danilo Gallo

Recensione del nuovo album pubblicato a marzo 2020 dal progetto “Danilo Gallo | Dark Dry Tears”

Non è mai semplice recensire un lavoro di un collega. Intanto quelli bravi dicono che non bisogna essere dei musicisti per recensire dischi, come se l’ignorare alcuni fondamentali dettagli servisse a “respirare” i brani incondizionatamente.

Ma siccome qui i dettagli sono davvero tanti e mai casuali, e quindi se sei musicista sei avvantaggiato … beh io sfrutto il bonus!
Iniziamo allora!
Siamo di fronte all’ultimo lavoro di Danilo Gallo, polistrumentista che non ha bisogno di presentazioni.

Al suo fianco ci sono Massimiliano Milesi (sax tenore, sax soprano e clarinetto), Francesco Bigoni (sax tenore e clarinetto) e Jim Black (batteria).

Premetto che ho ascoltato il cd svariate volte e in modo molto attento, per poter entrare meglio nel merito del lavoro. Ho preferito, pertanto, dettagliare la recensione analizzando distintamente, per quanto possibile, ogni brano.

Ma le poche righe che seguono, prima dell’analisi dedicata a ciascun brano, sono scaturite dopo il primo ascolto globale.

Vi posso assicurare quindi che, mentre scorrono le note, ci si immerge subito in una atmosfera desueta, ma nello stesso tempo ti abitui subito al suono “scuro e gommoso”, ai timbri caldi e asciutti ma a volte aspri, privi di troppe ambienze aggiunte in studio, e a quelle ritmiche spesso quasi tribali.

E non è questione di sperimentazione o altro, non serve etichettare un lavoro per poi avere l’esigenza o addirittura l’obbligo di trovare i componenti “letti” sull’etichetta. Qui si suona e basta, istintivamente ma sfruttando l’interplay della riflessione. Le note non sono mai a caso, anzi direi che si “vendono”. Si capisce che il percorso è stato lungo e c’è tanta maturità in questi brani. Il titolo del disco, “nascondi, mostra te stesso!” (tradotto dall’inglese Hide, show yourself!) fa intuire quanto intime possano essere le composizioni, e non posso sapere se è da considerare addirittura autoriflessivo.

BRICKS ON TILT

di Danilo Gallo | Dark Dry Tears | Hide, Show Yourself!

1. Demolition (Demolizione)

Ho ascoltato per ultima la track n.1, volevo evitare ogni sorta di condizionamento. Mi sono trovato a scegliere quale track mettere per prima in un disco pensando che servisse ad anticipare chissà quali contenuti e quindi ho pensato … la ascolto dopo, non mi voglio far condizionare. E comunque si inizia con un pedale di basso suonato con il plettro, dolce e rassicurante. Insomma è la prima traccia del CD e quasi ci accompagna a metterci comodi. La batteria accompagna valorizzando gli accenti flammando i colpi. E arrivano le melodie, intrecciate fra loro, contrappunto quindi! Bella l’improvvisazione del tenore, con quelle note sorde, quelle impennate ascendenti sfruttando posizioni armoniche, con le chiusure di pentatonica (quanno ce vo ce vo’). Nel finale il basso è imponente, granitico e … distorto, torbido! Melodie finali con fill di batteria per concludere.

2. The tree and the water (L’albero e l’acqua)

Inizio del brano caratterizzato dalla melodia, molto bella, armonizzata dai clarinetti. Atmosfera che mi ha fatto venire in mente una musica che starebbe bene come commento musicale in un film. Ma ecco che entrano basso e batteria a dettare la ritmica, da ballad ma molto netta, con i sax che, insieme, suppliscono alla mancanza di uno strumento polifonico che ricordi l’armonia della composizione, parzialmente discendente. La batteria è molto regolare e accompagna il crescendo variando le dinamiche e movimentando la performance. Nella parte finale tutto si riplaca e la batteria pian piano esce di scena per lasciare gli altri a concludere il brano.

3. Rubble dust (Polvere di macerie)

Aspro, accattivante ed irregolare. Ricorda le atmosfere ornettiane, con ritmiche a volte forzatamente “stentate”. Bella la raucedine del sax con quei suoni sordi e controllati. L’ensemble è  notevole e si sente un detune quasi bandistico. E allora dici … bello!

La ritmica è serrata ed incede imponente, E poi nel finale sembra di essere trasportati in un altro posto e lì c’è il bending semitonale usato ad arte per “ammiccare” verso una sonorità etnica e ti ritrovi ad osservare un paesaggio forse desolato con la “polvere” ormai depositata. Quell’intervallo di sesta verso il finale l’ho trovato familiare, mi ha fatto ripensare a Joe Zawinul ai tempi di “in a silent way”.

4. No boundaries (Senza confini)

Inizia piano, soffusamente. Qualche modulazione aiutata da giochi di volume che fanno risaltare quel pad metallico e vibrato che sta lì sotto a sostenere. Poi si parte e tutto è familiare. Apre una melodia orecchiabile che poi i due sax armonizzano. E iniziano le rincorse e l’imitazione tra loro. Addirittura si alternano a scandire i quarti. La batteria è quasi regolare, con il charlie appena accennato. Sì ok i fill sono tanti, ma fanno parte del crescendo generale e servono a creare quel clima “free” che rende assai! Insomma tutto cresce sotto l’incedere del pedale di basso fino ad arrivare ad accenni funk molto sincopati. Mi piace molto quando i sax, in pieno crescendo, cantano a volte all’unisono. E poi tutto si riplaca come all’inizio!

5. Short memory reprise (Memoria corta)

Riprende il tema della traccia n.12, e questa cosa è curiosa, di solito la versione “reprise” viene dopo! Insomma 28 secondi di ripresa di un brano che ancora non abbiamo ascoltato. Originale!

6. Eyes of twilight (Occhi del crepuscolo)

Atmosfera inquietante, ricca di particolari, tutti in risalto. Dà effettivamente l’idea del crepuscolo, con quel suono sordo e modulante che sta sotto. Ci sento dei passi (simulati con il ticchettio dei tasti del sax), lo scandire di un pendolo, e tanti piccoli rumori che sanno … d’imprevisto. Sono oltre 4 minuti così. Poi parte la ritmica e il sax ripete la melodia fatta di poche e semplici note, mentre il clarinetto gioca, “va in giro”. Qui c’è molto uso di elettroniche.

7. If you raise a wall you get low (Se alzi un muro, ti abbassi)

Già il titolo è fulminante! Intro caotico in cui sax e clarinetto dialogano tra loro, “disturbati” da effetti elettronici. Poi parte una frase della quale Shorter andrebbe fiero! E si parte con un pedalone di basso che … ma diamine è un brano rock?! La batteria mi piace tantissimo, specialmente quando flamma “stentando” sul rullante! Belli i break ripetuti. Ed ecco che arriva il frastuono caotico dove tutti “ruzzolano per le scale” (espressione di un mio carissimo amico mentre ascoltava brani di J. Tacuma). Effetti elettronici con ring modulator e resonance a fondo scala. Termina il brano con una melodia armonizzata dai fiatisti con qualche contrappunto del basso. Belli questi incastri. Questo è il brano che mi ha colpito di più!

8. I can’t see you (Non riesco a vederti)

Intro di sax con suoni sordi, detune, salti di ottava, giochi di volume e effetto frullato come nel flauto (!) Poi partono basso e batteria con un gioco ritmico sincopato (toms, percussioni presumo sospese a laccio e basso). La melodia è schematica ma condita da interventi dell’altro sax con suoni sordi e armonici, sempre al limite delle intonazioni (quarti di tono a go go). Gli strumenti si rispondono continuamente fino a lasciar solo il basso che introduce il finale.

9. Bricks on tilt (Mattoni in bilico)

Non ci crederete ma è un twist, molto particolare e desueto, ma è un twist. Diciamo una sorta di free twist. Adesso però se io ve lo racconto vi tolgo tutta la magia del brano. Quindi ve lo ascoltate senza le mie inutili note introduttive. Signori il brano è serio assai! Ed è un twist!

10. A view through a slot (Una vista attraverso uno slot)

Batteria irregolare e in costante contrasto per tutto il brano. A volte sembra simulare l’eco di un concerto in piazza, sposta gli accenti, insomma … sembrano i colpi di un soundcheck, quando si accordano i tamburi o si regola la corsa di un pedale. Ha un suo significato secondo me, forse serve a far fluire le melodie e tenerle a mente. Per esempio io mi sono gustato i  moti contrari e paralleli dell’armonizzazione dei sax, quell’uso dei perni tonali ecc… A me ha dato questa sensazione. Siamo comunque a livelli alti di interplay, di tutti.

11. Inside the crack (Dentro il crack)

Inizia con un suono polveroso e distorto. Poi mentre uno dei sax espone il tema, l’altro arpeggia, ed ecco che arriva a destra un clarinetto, e poi un altro sax che scandisce il tempo. Tutto si gonfia … per finire all’improvviso.

12. Short memory (Memoria corta)

Inizia con un’aria classicheggiante, ma a tratti folk, paesana (le prime file di una banda di paese), comunque molto setosa. Melodie che si intrecciano, si scambiano i ruoli, insomma qui, come nelle altre tracce il contrappunto è molto utilizzato. Ma la cosa bella è che gli attacchi sono imperfetti, veri. Da una parte il soffio dell’emissione, dall’altra più regolarità. Il tutto risulta molto caldo. Poi entrano gli altri e creano una ambientazione malinconica e scura. Batteria che tira dietro e slancia l’esecuzione, aumentando la profondità. Esplosione finale della melodia, sontuosa, quasi severa. Poi una breve modulazione con il basso mononota che scandisce il tempo, accompagnata dalla batteria che raddoppia. E infine torna l’etnico, per pochi secondi, molto bello!

13. The tree and the water reprise (L’albero e l’acqua)

Ripresa del secondo brano del disco, qui solo con l’acustica. Forse l’autore l’ha composta alla chitarra.

Il disco è molto bello, ma non è per molti. E ha bisogno di vari ascolti per “entrare”. E questo è un pregio, grosso, perché le sensazioni da contare e assaporare sono molte.

Sono abituato, o meglio, mi piace assegnare un colore alla musica che ascolto. Lo faccio anche per le mie composizioni. Beh qui penserei ad un bel viola con sfumature di arancione. Questa musica non ha spigoli, è smussata, calda, nonostante molti suoni siano, come ho anticipato all’inizio, volutamente aspri.

Prendete Ornette Coleman, Wayne Shorter e quel Miles Davis lì e mescolate abbondantemente.

Chissà se lo stile dell’autore risente di tali influenze, io non lo so ma mi piace pensarlo.

Insomma il suono è bello, definito, vero. Non credo nemmeno che l’ingegnere in studio abbia compresso troppo il segnale, senza dimenticare, come ho anticipato, la quasi totale assenza di ambientazioni aggiunte in fase di mix. Anche la collocazione nello spettro stereofonico degli strumenti è molto interessante, vecchio stile, un sax a destra e l’altro a sinistra. Li vedi praticamente sul palco. Complimenti anche a lui!

Le composizioni sono articolate, non tanto per la struttura, ma soprattutto armonicamente e dinamicamente. L’interplay è sempre uno dei parametri base per l’efficacia dell’impasto globale e direi che in questo caso è semplicemente ineccepibile. I musicisti sono bravi e i brani sono maturi.

Che dire quindi?

Buon ascolto

marco campea – siAMO musica – ICOnA